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Con il numero del 25 giugno 2016, The Economist pubblica uno special report sull’intelligenza artificiale (IA) dal titolo “The return of the machinery question” con cui si interroga sul futuro delle attività professionali in un mondo in cui molti compiti potranno essere svolti dalle macchine. Questi timori sono alimentati dai progressi consistenti fatti nel campo dell’IA soprattutto negli ultimi due anni, grazie a processi di ‘deep learning’ che consentono ai sistemi di apprendere e migliorare processando elevate quantità di dati e di esempi, anziché essere esplicitamente programmati per farlo. Questi sistemi vengono già utilizzati per suggerire risposte alle email o riconoscere comandi vocali, ma presentano applicazioni molto promettenti anche in campi come la medicina, dove l’opportunità di confrontare volumi elevatissimi di radiografie ed ecografie può rendere la diagnosi e la cura molto più accurate ed efficienti.

Come sottolineato dall’autore dell’editoriale (‘March of the machines’, The Economist, 25 giugno 2016), non è la prima volta che l’avvento di nuove tecnologie spinge a previsioni catastrofiche in termini di impatto sui posti di lavoro e sull’occupazione in generale: era già accaduto nella seconda metà del secolo scorso con la diffusione dell’automazione e dei computer. D’altro canto, spesso le nuove tecnologie hanno creato più posti di lavoro di quanti ne abbiano sottratti, poiché l’automazione di un lavoro routinario ha richiesto un maggior numero di persone che potessero svolgere attività legate a quel lavoro di routine, ma fuori dal controllo delle macchine. La sostituzione di molti cassieri di banca con i distributori bancomat, per esempio, ha reso più conveniente l’apertura di nuove filiali, alimentando la creazione di nuovi posti di lavoro nelle vendite e nel servizio clienti.

D’altro canto, la sfida posta dall’IA è diversa: da tempo le macchine hanno sostituito molte attività routinarie manuali, e ora si apprestano a sostituire anche molte attività routinarie cognitive. Anche in questo caso potrebbe seguirne una maggiore richiesta di persone che svolgano attività complementari. Ad esempio, con l’automazione degli acquisti tramite l’e-commerce e la diffusione dei consigli basati sui comportamenti precedenti, i consumatori spendono di più, e questo ha un impatto positivo sul settore commerciale nel complesso. Le auto senza conducente, così come già accade per i veicoli dei servizi di car-sharing, produrranno un aumento della domanda di operatori che possano intervenire da remoto in caso di difficoltà o guasto. Quelle stesse auto senza conducente consentiranno agli individui di avere più tempo per consumare altri beni e servizi, molti dei quali sono difficilmente immaginabili allo stato attuale e saranno resi possibili da nuove tecnologie o nuovi comportamenti delle persone.

Così come è avvenuto con l’introduzione dei computer negli uffici, l’IA non sostituirà direttamente i lavoratori, ma piuttosto chiederà loro di acquisire nuove competenze per integrarla. La tecnologia cambia le competenze richieste dalle professioni, con un ritmo più rapido rispetto al passato, e i lavoratori dovranno adeguarsi. Per le istituzioni educative, questo implicherà minore enfasi sulla specializzazione – che spinge ad imparare sempre di più su un oggetto sempre più circoscritto – e più attenzione invece ad ‘apprendere come ri-apprendere’ in maniera continua nel tempo. Per le imprese, questo significherà rendere la formazione sufficientemente flessibile ed adattativa per trasmettere nuove skill in modo rapido ed efficiente: maggiore enfasi sulla formazione permanente e on-the-job, e maggiore ricorso a strumenti online per l’apprendimento e la simulazione. La stessa IA può contribuire a tutto ciò, personalizzando l’apprendimento computer-based e individuando lacune nelle competenze nonché opportunità per la riqualificazione professionale dei lavoratori. Le soft skill e le competenze di carattere sociale diventeranno sempre più importanti. Quando le attività lavorative diventano sempre più rapidamente obsolete e le tecnologie cambiano continuamente, le competenze sociali possono fare la differenza, sostenendo quelle capacità di empatia e di interazione che mancano alle macchine.

Infine, l’IA richiederà anche competenze per tenerne sotto controllo gli esiti distorti. La ricercatrice americana Kate Crawford ha recentemente denunciato (‘Artificial Intelligence’s White Guy Problem’, New York Times 25 giugno 2016) come molti programmi di IA usati negli Stati Uniti dalle forze dell’ordine per la prevenzione del crimine tendano a sovrastimare la probabilità di crimini commessi da minoranze etniche. Uno scandalo recente ha rivelato che il servizio americano di Amazon per la consegna in giornata non era disponibile per codici di avviamento postale corrispondenti a quartieri prevalentemente neri. Amazon si è impegnata a risolvere il problema, ma questi esempi mostrano come disuguaglianze sistemiche radicate, laddove non vengano adeguatamente corrette, possono ritorcersi contro l’intelligenza delle macchine.

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